Corte d’Appello di Milano 26 giugno 2021, n. 1767, sezione II Civile
La Corte d’Appello di Milano, in un caso di responsabilità medica in cui l’attrice chiedeva la condanna al risarcimento dei danni patiti a causa di un intervento di lifting facciale, si è pronunciata sul tema della mancata acquisizione della perizia svolta nel procedimento di mediazione, ritenendola corretta.
Secondo la Corte, l’efficacia, il corretto funzionamento e il buon esito della mediazione è garantita anche mediante la rigorosa osservanza del principio di riservatezza disciplinato agli articoli 9 e 10 del decreto legislativo n. 28/2010 la cui inderogabilità era stata peraltro sancita dal legislatore comunitario con l’articolo 7 direttiva CE 2008/52. L’obbligo di riservatezza trova la sua ragion d’essere nella necessità di favorire quanto più possibile l’instaurazione tra le parti presenti in mediazione di un clima libero e disteso, di sincero confronto, tanto nelle sessioni congiunte quanto in quelle separate, in modo tale da consentire ad ognuna di esse di aprirsi senza timori, potendo esprimere, fino in fondo il suo punto di vista, con le relative aspettative e richieste. Tale principio ha portata decisiva perché consente al legislatore di incentivare l’uso della mediazione, nonché di agevolare l’operato del mediatore alla ricerca di un accordo in grado di soddisfare i contrapposti interessi.
La Corte d’appello di Milano ritiene che la CTU eseguita in sede di mediazione non può che aver attinto a dichiarazioni acquisite nel corso del procedimento, ne consegue che non può fare ingresso nel successivo procedimento di merito.
Tale orientamento si pone in contrasto con altre pronunce giurisprudenziali che al contrario hanno ritenuto producibile in giudizio la CTM (si veda Tribunale di Ascoli Piceno 18 ottobre 2018, estensore Mariani; Ordinanza Tribunale di Roma, 12 luglio 2018, estensore Moriconi; Ordinanza Tribunale di Roma, 22 ottobre 2020, estensore Vacca; Tribunale di Parma, 13 marzo 2015, estensore Chiari).
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Secondo la Corte, l’efficacia, il corretto funzionamento e il buon esito della mediazione è garantita anche mediante la rigorosa osservanza del principio di riservatezza disciplinato agli articoli 9 e 10 del decreto legislativo n. 28/2010 la cui inderogabilità era stata peraltro sancita dal legislatore comunitario con l’articolo 7 direttiva CE 2008/52. L’obbligo di riservatezza trova la sua ragion d’essere nella necessità di favorire quanto più possibile l’instaurazione tra le parti presenti in mediazione di un clima libero e disteso, di sincero confronto, tanto nelle sessioni congiunte quanto in quelle separate, in modo tale da consentire ad ognuna di esse di aprirsi senza timori, potendo esprimere, fino in fondo il suo punto di vista, con le relative aspettative e richieste. Tale principio ha portata decisiva perché consente al legislatore di incentivare l’uso della mediazione, nonché di agevolare l’operato del mediatore alla ricerca di un accordo in grado di soddisfare i contrapposti interessi.
La Corte d’appello di Milano ritiene che la CTU eseguita in sede di mediazione non può che aver attinto a dichiarazioni acquisite nel corso del procedimento, ne consegue che non può fare ingresso nel successivo procedimento di merito.
Tale orientamento si pone in contrasto con altre pronunce giurisprudenziali che al contrario hanno ritenuto producibile in giudizio la CTM (si veda Tribunale di Ascoli Piceno 18 ottobre 2018, estensore Mariani; Ordinanza Tribunale di Roma, 12 luglio 2018, estensore Moriconi; Ordinanza Tribunale di Roma, 22 ottobre 2020, estensore Vacca; Tribunale di Parma, 13 marzo 2015, estensore Chiari).
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